isterectomia

Isterectomia si, isterectomia no, come decidere?

Isterectomia si, isterectomia no. Come decidere ?

Il quesito esiste e ricorre assai frequentemente nell’ambulatorio ginecologico. C’è stata un’evoluzione dell’approccio al problema sia da parte delle pazienti, sia da parte dei ginecologi. Le tecniche chirurgiche stesse, nella loro evoluzione, hanno condizionato le scelte finali. Non ultimo il tam-tam fra le dirette interessate che è letteralmente esploso in rete attraverso blog e social-network.

Quattro sono le questioni su cui fare chiarezza per approcciarsi correttamente all’argomento.
Prima di tutto dobbiamo chiederci quali siano i problemi dell’utero tante volte così ostinati e irrisolvibili. Semplificando al massimo: la fibromatosi diffusa e/o nodulare davvero sintomatica (metrorragie refrattarie alle terapie), il dolore utero-pelvico-lombare (spesso derivante da patologie particolari tipo l’endometriosi e/o l’adenomiosi), il prolasso, l’incipiente neoplasia (ovvero patologie preneoplastiche), le neoplasie avanzate dell’utero stesso o degli altri organi genitali pelvici, ma tali da imporne indiscutibilmente l’asportazione.
Ognuna di queste entità andrà poi rapportata all’età della paziente, alle sue prospettive ed aspettative non solo di vita, ma anche riproduttive e relazionali. La casistica è infinita e si corre il rischio di essere fraintesi, inducendo il pericolo di estendere un solo esempio a troppe situazioni ognuna con le sue diverse sfaccettature.
In secondo luogo va detto che quando i presidi terapeutici erano minimali, il ricorso all’ isterectomia era obbligato per cui l’estensione delle indicazioni, la mano pesante dei medici, lo scarso rispetto dell’integrità della persona, l’incerta consapevolezza ed autonomia femminile, hanno portato ad una vera “ecatombe di uteri”.

Oggi avendo a disposizione più possibilità d’indagine e presidi terapeutici sempre più efficaci, abbiamo ridotto le isterectomia, in particolare quelle a indicazione non neoplastica e neoplastica iniziale, ovvero limitandole ai soli casi irrinunciabili.
Tuttavia non possiamo ignorare che anche le soluzioni alternative hanno risvolti problematici, se non addirittura negativi.
Per esempio, non tutte le pazienti possono permettersi trattamenti ormonali prolungati perché presentano controindicazioni assolute o relative all’assunzione di tali presidi, non tutte le pazienti riescono a garantirsi i monitoraggi richiesti dalle terapie conservative nelle forme preneoplastiche o non ne comprendono appieno la rilevanza, non sempre conviene dilazionare l’intervento con il rischio di trovarsi poi costretti a operare quando eventuali patologie generali note ( esempio: cardiopatie, pneumopatie, diabete,…) si siano nel frattempo ulteriormente aggravate arrivando ad appesantire fortemente la prognosi dell’atto chirurgico.

Alcuni trattamenti invasivi, ma non demolitivi, sono ancora controversi o, quantomeno, non sempre definitivi. Ricordiamo l’ablazione endometriale (varie metodiche) e l’embolizzazione delle arterie uterine, praticato quest’ultimo con alterne fortune in rari centri di radiologia invasiva più che in strutture ginecologiche.
Valga ancora un esempio per tutti: è bastata l’introduzione di spirali medicate al progesterone (IUD-P) per scongiurare molte isterectomie…

Insomma, sarà dovere del ginecologo illustrare tutti gli aspetti del problema, i rischi di ogni singola scelta, con esaurienti e complete spiegazioni considerando la specificità della singola paziente, cercando di non avere preconcetti infondati e di fare un bilancio delle evoluzioni future dei quadri patologici evitando di valutare solo il tempo presente o solo l’immediato post operatorio.
Sono anche da evitare criteri decisionali “moda” dipendenti o succubi di correnti di pensiero tanto distorte quanto passeggere.
In terzo luogo, quando si sarà stabilito di affrontare la sala operatoria, le tecniche principali sono:
A
Intervento classico con laparotomia (apertura dell’addome). Ed anche questa procedura non è standard. Ci sono diverse modalità di accesso, più o meno traumatizzanti (dolorose nel post operatorio e statisticamente più esposte a complicanze proprie della parete addominale incise quali emorragie-ematomi, aderenze, infezioni, deiscenze, cheloidi, ecc), tuttavia anche questa via, attraverso una moderna e corretta condotta chirurgica è oggi ben più “leggera ed affidabile” rispetto ad un recente passato e la dimissione può essere espletata anche dopo 72-96 ore dall’interveto.
Tranne rare eccezioni, per le patologie benigne, l’incisione esterna risulta trasversale bassa, invisibile anche “al mare”.
B
Nei casi in cui è possibile e sussiste l’indicazione si pratica l’isterectomia per via vaginale (sinonimo: colpoisterectomia) ovvero senza incisione dell’addome con l’estrazione dell’utero dal basso. Nella maggioranza dei casi si potranno asportare per la stessa via anche le tube e le ovaie, quando opportuno.
Il più delle volte, scegliendo tale accesso, per la concomitanza di prolasso genitale e/o incontinenza urinaria, si eseguono anche procedure di ripristino delle pareti vaginali e fasce circostanti. Il tutto, in termini tecnici, va sotto il nome di recupero della statica pelvica con chirurgia fasciale.
Qualora per riparare tessuti notevolmente compromessi si dovesse ricorrere all’applicazione di reti in prolene, si parlerà di chirurgia protesica. Anche in questo caso la dimissione solitamente avviene in 48-72 ore.
C
Ultima in ordine di tempo l’introduzione della chirurgia laparoscopica che consente di minimizzare il trauma della parete addominale (quattro incisioni di 1-2 cm, recentemente si sta affermando anche la tecnica ad incisione ombelicale unica) con ben più rapida ripresa post operatoria e dimissione in 48-72 ore.
Sono possibili anche combinazioni di queste tecniche eseguendo parte dell’intervento con una procedura e parte con l’altra, le tecniche anestesiologiche poi riescono ad assicurare un post operatorio assai meno infelice di quanto poteva avvenire in un recente passato.

La scelta della procedura è medico “dipendente”. Attenzione, non chirurgo “dipendente”.
Mi spiego: il buon medico (ginecologo) deve saper individuare la migliore tra le procedure disponibili per trattare quella specifica paziente, se è un ginecologo chirurgo esperto, non avrà problemi a procedere e se la tecnica più opportuna per quel caso non rientra nel suo bagaglio professionale non per questo deve modificare il piano operatorio, piuttosto sarà suo dovere indirizzare ad altro chirurgo diversamente competente.
La quarta e ultima questione si riferisce al dopo intervento.
Suona male affermare che la paziente “si dovrà adeguare” alla nuova condizione determinata dalla perdita dell’utero. Ma come esprimere diversamente questo concetto? Se l’utero è da togliere, indiscutibilmente, non resta che prepararsi mentalmente ed emotivamente al trauma piuttosto che subirlo in un vortice d’inesauribile autocommiserazione. Diversa condizione, in sé, non significa né meglio né peggio, significa semplicemente che la paziente si troverà in una situazione “nuova” e dovrà impegnare il suo potenziale culturale femminile nella rielaborazione della “perdita” dell’organo riproduttivo con la maturazione di emotività positive. Più o meno come quando ha iniziato l’attività sessuale quando ha elaborato il “nuovo” nella categoria del “piacevole”. Percorso mentale ed emotivo che non tutte purtroppo hanno potuto svolgere appieno.
Tante pazienti distrattamente preparate all’atto chirurgico ne escono quasi più ammalate di prima, ogni successivo piccolo disturbo, non solo addominale, viene ricondotto a quell’evento e compare il rimorso di non aver provato ogni soluzione conservativa. Tante donne che presumono di risolvere tutti i loro problemi (anche esistenziali…) con l’intervento restano molto deluse. Emergono così pensieri punitivi verso sé stese e verso il ginecologo che troppo frettolosamente le ha indotte alla scelta fatale. Sembra quasi che tutto il cosmo femminile si concentri nel lutto per quell’organo ritenuto essenziale. Vissuti difficili -questi- che è sempre meglio prevenire.
A onor del vero questo era molto più ricorrente nel passato, oggi la cautela è di rigore ed è molto più frequente che una paziente (proprio tale!…), dopo aver vagato e tentato di tutto, trovato finalmente qualcuno deciso ad operarla (e bene possibilmente!…), esprima il suo commento finale così: l’avessi fatto prima!

In sintesi, non si confondano i termini del problema, si offrano tutte le spiegazioni del caso, si percorrano tutte le vie alternative ragionevoli, ma se il bilancio condiviso con la paziente portasse alla decisione operatoria, attraverso l’esecuzione di un intervento personalizzato e ben condotto, l’esito sarà davvero soddisfacente per tutti! Scevro da rimpianti di un passato tormentoso in compagnia di un utero a dir poco “indisponente”.

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